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| ODE AL MERLOT
Non è proprio un vino nobile, il Merlot, ma da mense, sincero e popolare. Perciò mi piace più di altri.
Ha la tinta del temporale la sua uva, grani fitti e lucenti il grappolo, come il rosario consunto di un devoto, beccolato, qua e là
dai merli, così golosi di bacche e preghiere, di fiabe. E proprio come dentro una fiaba vi ritrovo tutti qui
seduti attorno al tavolo della casa vecchia (quella persa in fondo ai Palù, in mezzo ai campi, persa dentro un crampo
della mia memoria): tu, bisnonna Irma, lì, con un bicchiere di merlot allungarti la minestra; e tu, nonno Attilio, polenta
intinta nella chicchera di vino prima del radicchio; lo zio Lillo, poi, il povero tardo della famiglia: frantumare un blocco
di ghiaccio col martello, in cortile, e con un bicchiere di quel vino farsi in casa la granatina, allungarmi il cucchiaino
quando gli altri non vedevano: "assaggia, dài che il vino fa sangue", io un bambino convinto che l'odore vero del mondo
fosse quello della terra e dell'erba, o quello aspro di quel vino violaceo. Vi scorgo, e mentre vi faccio ciao siete già sbiaditi,
cari ultimi attori di una vita che sapeva ancora di pioggia e letamai, di sudore e calli, di silenzi. Vi saluto, con queste parole
antiche che intingo anch'io nel merlot, in questo vino scuro di operai e muratori, compagno di fatiche e formaggio, di pane e mortadella.
Fabio Franzin
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